“Semplice, elegante, bello”: prendiamo in prestito una frase che ha detto in “Dawson’s Creek” per descrivere il garbo che contraddistingue Josh Jackson


Non accetterei mai e poi mai un film su “Dawson’s Creek” perché la storia è chiusa, finita (Josh Jackson)

Chi non ha desiderato, almeno una volta, di  fare gli auguri al proprio idolo del grande o del piccolo schermo? Oggi in molti hanno realizzato il loro sogno, a Rocca D’Orcia (nella valle omonima del senese). Il festeggiato compie 26 anni e si chiama Joshua Jackson, meglio noto come Pacey di “Dawson’s Creek”, in Toscana per le riprese del film “The Shadow Dancer”.

Quali sono le tue aspettative sul film “The Shadow Dancer”?

Joshua Jackson: Il mio desiderio è di riuscire ad interpretare un personaggio che sia un po’ più divertente, perché non mi danno mai ruoli comici nei film, di solito io sono quello serio! Mi piaceva l’idea di venire in Italia, trascorrere un paio di mesi in Toscana, lavorare con un bel gruppo di fantastici attori: Giancarlo Giannini, Claire Forlani e Harvey Keitel. Per questo sono qui.

Hai visto “Scoprendo Forrester”, con Sean Connery, che ha una trama simile?

J.J.: Sì,conosco “Scoprendo Forrester”, ma credo che sia un genere molto più drammatico. Quando si legge la storyline dei due film si trovano molti aspetti simili, tuttavia “Scoprendo Forrester” ha una modalità di racconto della storia più drammatica, è davvero impegnativo, mentre “The Shadow dancer” è molto più leggero, insomma una commedia.

Quale regista ti ha insegnato di più nella tua carriera?

J.J.: L’uomo che ha avuto la maggiore influenza sulle mie abitudini lavorative è stato Stephen Herek, il regista di “The Mighty  Ducks”, perché ho lavorato con lui quando ero molto piccolo e lui era davvero professionale nel modo in cui gestiva il suo lavoro. Mi ha insegnato il rispetto verso i colleghi, mi ha detto come ci si comporta sul set e soprattutto mi ha fatto capire che essere un attore è un lavoro serio e va considerato come tale. Probabilmente il suo esempio è stato più istruttivo di qualunque altro perché, quando ci sono quindici bambini (come te) sul set tutto il tempo, puoi imparare anche semplicemente guardandolo. Dal modo in cui Stephen trattava ogni persona intorno a sé noi capivamo come trattare ogni persona intorno a noi.

Che influenza avuto tua madre nella tua carriera?

J.J.: Mia madre ha lavorato per 20 anni nell’industria cinematografica prima ancora che io cominciassi e così ho goduto dei benefici della sua esperienza. Mi ha insegnato come ci si comporta sul set e soprattutto come rispettare gli altri con cui si lavora.

C’è in particolare un attore da cui hai imparato sul set?

J.J.: Come attore imparo da ogni attore con cui lavoro. Altrimenti spero di non lavorarci! Ogni giorno sul set c’è qualcosa di nuovo. Quando sei a contatto con un attore per tanto tempo, come per una serie televisiva, arrivi ad ottenere una tale sintonia con lui da riuscire a percepire e vedere come sarà girata la scena prima ancora che si inizi a farla. Diventa una specie di danza, come un ritmo nell’interpretare i dialoghi e ogni altra scena. Altrimenti (in un film, ndr.) fai un salto in un’esperienza del tutto sconosciuta con attori nuovi e acquisisci un ritmo nuovo: sei costantemente sorpreso dalla varietà di situazioni che si possono verificare! Tu vedi le cose in un modo, gli altri in un modo diverso: le prospettive si uniscono e viene fuori un terzo punto di vista.

In questo momento a Roma si gira “Ocean’s Twelve”, sequel  di “Ocean’s Eleven”, a cui  hai partecipato. Cosa ricordi di quell’esperienza?

J.J.: Ho lavorato solo un giorno per “Ocean’s Eleven” quindi l’impressione più profonda riguarda il regista, Stephen Soderberg, e il grado di preparazione che impiega a rendere il set assolutamente rilassato. Tuttora stento a credere quanto fossero tranquilli l’ultimo giorno delle riprese. E poi  è stato eccitante stare a contatto con due tra le più grandi star del cinema, George Clooney e Brad Pitt, e vederli ridere, divertirsi, scherzare con la troupe e farsi gli scherzi sul set. Ma quando la macchina da presa girava sapevano alla perfezione il loro lavoro. Anche se non sono stato sul set abbastanza da girarci insieme grosse scene, ho percepito perfettamente l’atmosfera e mi è bastato vedere come si relazionavano tra loro quando la telecamera era spenta: è stato più che istruttivo!

C’è una scena, tra quelle che hai girato, che ti è piaciuta particolarmente?

J.J.: Non saprei, perché è difficile che ti piaccia una scena in cui reciti proprio perché ci sei tu e tendi a guardare la tua performance piuttosto che la scena in sé.

Quali sono i tuoi programmi preferiti in Tv?

J.J.: I programmi americani che amo di più sono “I Simpson” e “Law and Order”.

C’è un film, che hai visto di recente al cinema, che ti ha colpito particolarmente?

J.J.: Credo che il miglior film che abbia visto negli ultimi tempi sia “Se mi lasci ti cancello” (ai protagonisti, Jim Carrey e Kate Winslet, viene cancellata la memoria, ndr.)

Se Kevin Williamson, il creatore di “Dawson’s Creek”, ti chiedesse di girare un film tratto dalla serie televisiva cosa risponderesti?

J.J.: Ho appena finito di girare “Cursed” con Kevin Williamson (nelle sale americane dal 1° Ottobre, ndr.), ma non accetterei mai e poi mai un film su “Dawson’s Creek” perché la storia è chiusa, finita.

Perché un “no” così deciso?

J.J.: La storia sarebbe dovuta finire quando i ragazzi hanno finito la scuola superiore (si riferisce alla penultima puntata della quarta serie, “Il giorno del diploma”- “The graduate”, ndr.), perché non c’è motivo che facciano parte l’uno della vita dell’altro una volta concluso il liceo. Non è così che va la vita. Quando sei piccolo hai queste incredibili, meravigliose, forti amicizie e poi ti diplomi: qualcuno lavora, qualcuno parte e qualcun altro continua gli studi. Si verifica una sorta di frattura e puoi rimanere in contatto con alcuni, ma non succede mai come nel telefilm, dove tutti frequentano lo stesso college e vivono sempre insieme. Lo show sarebbe dovuto terminare allora, i creatori lo avrebbero dovuto interrompere. Il modo con cui ci hanno riuniti, alla fine della serie, lo scorso anno, quando abbiamo girato la finale (negli Usa in onda il 14 maggio, in Italia il 17 dicembre, ndr.) è stata una specie di seconda fine della storia. Non puoi raccontare la storia di “Dawson’s Creek” senza Jen (la ragazza è morta nell’ultimo episodio, ndr.) e senza il romanticismo tra Dawson e Joey perché adesso lei è la ragazza di Pacey. È finita, la storia ha avuto la sua fine!

The cast members of Dawson’s Creek gather at Riverfront Park Saturday, April 26, 2003 for a tribute to the television show, which recently wrapped up filming of its final season.

Quali sono stati i motivi del successo di questo telefilm?

J.J.: Credo che l’essere un adolescente sia più o meno simile dovunque tu viva, specialmente in occidente. Quando sei un ragazzo instauri amicizie, inizi a scoprire la tua sessualità e il rapporto con le ragazze, smetti di essere un bambino e sperimenti le prime emozioni. I genitori non vengono più visti come creature perfette e iniziano ad essere messi in discussione. Il teenager vuole i suoi spazi e sperimenta la propria forza e spesso ha problemi a scuola. È un periodo complesso e penso che quando “Dawson’s Creek” era al suo apice faceva parlare i protagonisti in un modo in cui i quindicenni non potrebbero fare. Tutti abbiamo provato quelle stesse emozioni ma non sapevamo come esprimerle. Allora lo abbiamo fatto dire ai personaggi. Se hai 15 anni e vedi il telefilm dici: “E’ esattamente così, volevo dire proprio quello!”. E anche le generazioni successive si sono guardate indietro e hanno pensato: “Avrei voluto dire queste cose quando avevo 15 anni”. Penso che sia questa la ragione di tanto successo: è stato onesto nel trattare le tematiche legate alla crescita e un ragazzo che sbaglia può prenderlo a modello se lo considera realistico proprio negli errori che commettono gli stessi personaggi. Credo che all’inizio si sia dato il massimo e il telefilm era il più innocente possibile, ma non giudico. Per me è un’esperienza diversa da chi lo guarda da fuori: io ero nello show! Per me non è una trasmissione che guardo in televisione, è stato il mio lavoro per sei anni. Le cose che ricordo non hanno niente a che fare con quello che è andato in onda, riguardano il dietro le quinte, le persone che ho conosciuto e le esperienze che ho fatto in tutto quel periodo.

Josh in pillole

“Un eroe rude e affascinante”: Pacey Witter, la pecora nera del telefilm “Dawson’s Creek” (terminato a dicembre sui nostri schermi) si descriveva così in una puntata. E per molti questo ritratto, a metà tra il giullare e il principe, coincide con l’attore che lo ha interpretato per le sei stagioni della serie, Joshua Jackson. Invece il giovane attore neo-26enne ha posato la maschera del ragazzino di provincia per rivestire ruoli più maturi.

La sua carriera è iniziata con una pubblicità per patatine, a nove anni, sotto la guida della madre Fiona, direttrice di casting, e subito dopo ha preso il via con le tre pellicole della serie “The Mighty Ducks”, come capitano di una squadra di hockey (sport che adora e in cui si è cimentato in altri film, come in “Ronnie & Julie” (1996), moderna rivisitazione di Romeo e Giulietta, ma a lieto fine, e “Aurora Borealis”, tuttora in fase di postproduzione). In una battuta di “Dawson’s Creek” (nella sesta puntata della prima serie, “Convivenza forzata”), lo stesso Pacey ironizza: i protagonisti  di “The Mighty Ducks” non sono affondati dopo l’esordio da baby-star, come molti loro coetanei.

E così l’augurio che Josh ha rivolto a se stesso nella finzione si sta avverando, anche se l’etichetta  televisiva lo perseguita, con un velo d’ironia: nel film “Urban Legend” (1998) Josh accende la radio in macchina e la spegne subito, con una smorfia, perché la canzone che sente è “I don’t want to wait”, di Paula Cole (la sigla del telefilm)!

Anche se i ruoli da protagonista continuano a susseguirsi, il successo arriva nel 2000 con il thriller “The Skulls” (“I teschi”), in cui interpreta Luke Mc Namara, uno studente povero che, pur di pagarsi la retta di Giurisprudenza nel college dei suoi sogni, accetta di entrare in una società segreta. È invece una simpatica canaglia gay in “Cruel Intentions” (1999), remake di “Le relazioni pericolose”, con Ryan Philippe. Nel cast anche Sarah Micelle Gellar (famosa per aver interpretato l’ammazza vampiri Buffy nell’omonima serie tv) con cui ha lavorato anche sul set di “Scream 2” (1997). Il film è stato scritto da Kevin Williamson, creatore di Dawson. Ancora un’atmosfera studentesca per Josh nel ruolo di Beau, il ragazzo di Naomi (Kate Hudson), in “Gossip” (2000), accusato di averla violentata. Poco dopo Josh interpreta se stesso in un cameo nella pellicola “Ocean’s Eleven” (2001), con un cast d’eccezione: Brad Pitt, George Clooney, Andy Garcia, Julia Roberts e Matt Damon. Si ritrova in viaggio dopo la laurea su sfondi dark in “Americano” (il prossimo anno uscirà nelle sale americane) ed è uno studente di cinema in “I love your work” (2003).

Ma non ci sono solo personaggi adolescenti o scansonati nel curriculum del giovane canadese: ha interpretato il figlio di Glenn Close, costretto a letto da un incidente, in “The Safety of Objects” – “La sicurezza degli oggetti” (2001). Ma il cambio di rotta avviene definitivamente con “The Laramie Project” (2002), dove Josh veste i panni di un barista, testimone involontario in un processo per omicidio. In “Lone Star State of Mind” (2002), invece, incarna alla perfezione lo spirito a stelle e a strisce, in una commedia che mescola sapientemente toni sarcastici con situazioni di tensione.

Dopo essere stato diretto da registi (come David Semel e Robert Duncan McNeil) che ha incontrato nel set di “Dawson’s Creek” (Josh stesso ha diretto la puntata 619 della serie, “Love lines” – “Serata all’auditorium”), ritorna alle origini con “Cursed”, di Kevin Williamson, che sta per uscire negli Usa. In quest’orizzonte di cambiamento s’inseriscono le sei settimane in Toscana per girare “The Shadow Dancer” nel ruolo dello scrittore in erba Jeremy Taylor. Durante il soggiorno in Val D’Orcia (allietato dalla presenza della madre e della sorella Aisleigh per il suo compleanno) Josh, con garbo e professionalità, ha dimostrato che Pacey è davvero cresciuto.

In principio era Pacey

“Ma che diavolo di nome è Pacey?”: così ha esordito Joshua Jackson all’audizione di uno dei telefilm più amato da teenager e non. E questa battuta gli è costata la parte. Inizialmente si era presentato per il ruolo di Dawson Leery, ma Kevin Williamson, creatore della serie, non ha avuto dubbi: “Quando ho guardato Josh ho visto Pacey: aveva magnetismo, carisma e sex appeal, era perfetto!”. In più occasioni lo ha paragonato a Tom Hanks. Anche Greg Berlanti, produttore esecutivo della serie, concorda: “Molte delle personalità sono quelle degli attori, scriviamo le scene avendo loro in mente, specialmente Josh che è tagliato per essere Pacey”. E sul finale Josh sorride: “Se sono contento che Joey scelga di stare con Pacey? Certo, la ragazza ce l’ho io!”. Il rapporto speciale con l’ex fidanzata, amica e collega di lavoro Katie Holmes (che interpreta Joey Potter) continua anche dopo il finale: il 14 maggio, mentre lei era sul set di “Barman 5” e lui a Oxford per una lezione, si sono incontrati a Londra per festeggiare un anno dalla fine della serie, ancora insieme.

Josh e i fan

Ad accogliere Josh molti fans, soprattutto Pjers (ossia tifosi della coppia Pacey e Joey di “Dawson’s Creek”). Una di loro, Silvia C., ha due siti su di lui e ha organizzato il primo raduno pjer a livello nazionale. Quando Josh lo ha saputo le ha detto: “Eccellente, voi Pjers siete dalla parte giusta”. Un’altra le ha regalato un album con le foto dei raduni dei creekers (i fan del telefilm), che si riuniscono per guardare le puntate. Josh ha anche scritto una dedica sulla copertina di una tesi sul telefilm, scritta da una studentessa, A.D., laureata a dicembre con lode alla Lumsa  (Roma). Nella foto accanto, la scena simbolo di Pacey e Joey, il ballo della terza serie, in cui lui le dice la frase “Io ricordo tutto”, che le ragazze chiedono a Josh di ripetere. Ma poi l’attore, dopo aver autografato la cap e recitato la battuta, aggiunge: “Sono un bugiardo perché nella vita non ricordo tutto”.

The Shadow Dancer

Girato soprattutto a Radicofani, in provincia di Siena, dal 10 maggio al 21 giugno, il film, diretto e sceneggiato da Brad Mirman, è una coproduzione franco-anglo-italiana. “Il mio intento – spiega Massimo Pacilio, produttore italiano della Movieweb – è di realizzare film con storie italiane in lingua inglese”. E il cast internazionale conferma le promesse: Harvey Keitel è Weldon Parish, uno scrittore americano che vive in Toscana con le sue tre figlie (una di loro, Isabella, è interpretata da Claire Forlani). Giancarlo Giannini, poi, interpreta Padre Ferzetti.

La scheda

Nome: Joshua Carter Jackson

Data di nascita: 11 giugno 1978

Luogo di nascita: Vancouver, Canada

Nazionalità: Americana e Canadese

Segno zodiacale: Gemelli

Passioni: Leggere libri di filosofia, ascoltare Ben Harper, viaggiare con il suo cane

Curiosità: Due anni fa ha ricomprato la casa dove viveva da piccolo (in California), dal proprietario a cui il padre, dopo il divorzio, l’aveva venduta 16 anni prima. La sua camera aveva ancora le sue figurine attaccate ai vetri

Episodio memorabile: ha salvato la vita di due bagnanti sorpresi da attacchi d’asma

Premi: 3 Teen Choice Award (“Migliore attore”) e 1 Young Hollywood Award (“Superstar di domani”)

L’intervista è stata pubblicata sul mensile “Cult Fiction”, dicembre 2004