Andrea Carpinteri, attore trentenne, mette la fede al primo posto e, seguendo l’esempio della zia, suor Maria, spende ogni momento libero al servizio degli ultimi e dell’educazione dei più piccoli.

Non voglio che il lavoro mi faccia perdere la bussola rispetto a quello che conta (Andrea Carpinteri)

Fin da piccolo, Andrea Carpinteri ha avvertito l’abbraccio della fede: si è sentito guardato, amato, protetto dall’alto in ogni momento. Agli altri bambini diceva che Dio era suo “zio”: la sorella della mamma, suor Maria Trigila, gli ha raccontata di essere sposata al Signore, quindi lui l’ha sempre trattato come “uno di famiglia”, con naturalezza. Nato a Lugano 30 anni fa da una famiglia di origine siciliana, oggi Andrea vive a Roma e fa l’attore, dopo una laurea in comunicazione e il diploma all’accademia di recitazione. Subito dopo ha esordito nella fiction “Che Dio ci aiuti 2” e nella sesta stagione di “Rex” e nel frattempo si è dedicato al teatro, mettendo anche in scena “Sei personaggi in cerca d’autore” nella rassegna “La Pirandelliana”. In Svizzera, dov’è cresciuto, ha provato a trapiantare il concetto di oratorio che aveva imparato in Italia per poi metterlo in pratica dopo il trasferimento a Roma. Da ragazzino partecipava ai campi scuola estivi della parrocchia, da grande li frequenta come educatore. Nel tempo libero si occupa di raccolta di indumenti e di distribuzione del cibo ai bisognosi, coniugando l’impegno sociale con il proprio cammino spirituale. Ancora una volta, infatti, per lui essere cristiano non è un’idea astratta, ma un modo di vivere la vita ogni giorno.

Qual è il primo ricordo legato alla fede?

Avevo 3 o 4 anni e per la prima volta ho incontrato in convento la sorella maggiore di mamma, che aveva da poco iniziato il suo percorso di fede come suora. Sono rimasto affascinato da quell’idea di condivisione che avevo già imparato a casa. Sono cresciuto senza padre, in una famiglia al femminile, e senza quella figura portante che è stata compensata da un’unione fortissima e da una grande fede. Ecco perché anch’io, un giorno, spero di avere una famiglia tutta mia dove ricreare quell’armonia e quel senso di accoglienza.

Che rapporto hai con suor Maria?
Per me è un punto di riferimento e non solo perché ha quattro lauree, ha scritto molti libri, ha lavorato come ufficio stampa delle salesiane e ora dirige la scuola delle figlie di Maria Ausiliatrice a Catania. Mi ripete sempre: “La fede è il motore di tutto, ma noi dobbiamo rimboccarci le maniche”. Fino all’anno scorso anche lei viveva a Roma: per sei anni la Casa Generalizia era a pochi passi dall’appartamento con studenti in cui mi trovavo io e puntualmente portavo a pranzo i miei lì.

Cosa ne pensavano i tuoi colleghi?

Suor Maria ha compiuto a settembre 60 anni, il doppio della mia età, eppure io a lei confido tutto. Mi dicono spesso che sembriamo una sitcom del genere “la suora e il ragazzo” perché abbiamo un rapporto di confidenza profondo e naturale. All’inizio ottengo una reazione di stupore ma siccome ogni persona nuova che conosco la faccio conoscere a zia capita non di rado che poi i miei amici la chiamino per consigli o che lei mi chieda il loro numero, quando capisce che uno di loro sta passando un momento difficile.

Persino sul lavoro si sono interessati a Suor Maria

A me piacciono i social media e tra le foto e i video che carico ci sono anche quelli con zia. Quel materiale è stato visto e così alcuni reality durante i provini hanno manifestato interesse: volevano che partecipassi come concorrente assieme a suor Maria, ma ho detto no. Non volevo strumentare la mia famiglia per avere un’occasione di visibilità puntando le telecamere sul mio privato.

Suor Cristina ha partecipato ad un talent show, però.

Quello è diverso: lei ha un talento e l’ha mostrato in tv, in questo caso i reality cercano una storia. Ho rinunciato perché non voglio che il lavoro mi faccia perdere la bussola rispetto a quello che conta, ai rapporti veri. Il mondo dello spettacolo è luccicante e ti tenta, ma bisogna stare attenti a non venirne risucchiati. La fede per me è anche questo, un’ancora che ti dà coscienza dei pericoli e ti indica la strada giusta da prendere.

Persino quando un “no” può costare la carriera?
A volte pensiamo che le situazioni perfette arrivino nel momento sbagliato ma non è così. Ricordo ancora il provino per “Rex”: avevo appena saputo che mia madre era affetta da un brutto male (che grazie a Dio poi ha superato) e la mia testa era altrove. Eppure Teresa Razzauti ed Elena Muratore, che si occupano del casting della serie, hanno capito che qualcosa non andava e hanno voluto darmi una chance. Per me questo è un esempio di persone di fede e di umanità.

Come vivi la fede nel quotidiano?
Con un occhio sempre verso gli altri, perché a volte chi ha bisogno non te lo chiede, oltre che con la preghiera, che considero un momento mio, la mia chiacchierata continua con Dio. Me l’ha insegnato mamma che da quando avevo 9 anni ha adottato a distanza Velangani, una bimba indiana, per permetterle di studiare anche quando noi non ce la passavamo tanto bene.

E poi hai continuato il percorso con i ragazzi?
Da sei anni sono educatore nei campi estivi e quest’anno a Catania avevo i bambini dai 3 ai 6 anni con cui alterniamo momenti di gioco a lezione di nuoto o creatività o inglese. Uno di loro, Carlo, di 5 anni mi ha detto: “Maestro, voglio diventare come te”. Mi ha lasciato senza parole: ho capito quanto l’esempio parli più delle parole. E, come ogni volta, sono tornato a casa con il cuore pieno, rigenerato, carico, pronto a ricominciare.

Con Elena Sofia Ricci nella fiction “Che Dio ci aiuti”

L’attore Salvatore Esposito, celebre per il ruolo di Genny nella serie tv “Gomorra”, è il miglior amico di Andrea: “Per me Salvatore non è “il fratello che non ho”, visto che ho solo una sorella – precisa Andrea – ma “il fratello che ho”. Ha accettato per amicizia un ruolo nel film “Carvina” (che poi abbiamo presentato insieme ai ragazzi del Giffoni Film Festival), un film sui giovani che ho pensato e realizzato con la mia amica attrice Aglaja Amadò. Ha dimostrato di non dimenticare le persone a cui vuole bene, di possedere grandi valori, di esserci sempre per me anche dopo il successo del telefilm. Ho visto sulla mia pelle invece come cambia la situazione quando ti vedo in tv: improvvisamente i pochi amici di sempre si trasformano in centinaia di persone che ti cercano per altro. Questo film racconta proprio il senso della vita attraverso la storia di tre ragazzi che, tra alcol e droga, passano le giornate a comprare gratta e vinci per “svoltare”, ma capiscono solo dopo che l’esistenza è un dono e non va sprecata così”.

L’intervista è stata pubblicata sul settimanale “A sua immagine”, numero 145, 17 ottobre 2015