La criminologa Cristina Brondoni racconta il suo nuovo noir, Voglio vederti soffrire, tra retroscena e curiosità
Cristina Brondoni

Voglio vederti soffrire è un titolo che è tutto un programma: il nuovo noir di Cristina Brondoni (Clown Bianco Edizioni, 299 pagine), giornalista e criminologa, promette un racconto a dir poco adrenalinico. La scrittrice, che ha diretto la rivista mensile Crime Magazine, a breve disponibile online, si occupa su base quotidiana di omicidi, suicidi e morte sospette in qualità di consulente. Le ispirazioni tratte dalla realtà vengono rimescolate e messe in scena in un poliziesco ambientato a Milano, tra delitti inquietanti e segreti inconfessabili. Dopo un colpo di fulmine per Tutti gli uomini del Presidente a solo otto anni, ha avuto subito chiaro in mente di voler diventare giornalista, dopo quaderni e quaderni pieni di scarabocchi che nella sua fantasia diventavano romanzi. Il debutto nel genere fiction nasce da “una situazione – spiega ad Air Quotes – (agghiacciante, ovviamente) che potrebbe capitare a chiunque. A ognuno di noi”.

Com’è nata la passione per la criminologia?

Quando anni fa scrivevo di serie tv crime mi sono chiesta quanto ci fosse di reale nella fiction. Così mi sono iscritta in università (prima all’Alma Mater di Bologna e poi, per un master di secondo livello, alla LIUC) per studiare e analizzare il rapporto, o meglio il gap, tra fiction e realtà.

Quanto della sua esperienza forense c’è nel romanzo?

L’esperienza forense permea tutto il romanzo. Ho cercato di rendere l’idea di quanto sia complesso, intricato e, la maggior parte delle volte, estremamente frustrante fare indagini, perché la fantasia umana è sconfinata e chi si trova di fronte a una scena del crimine non ha il quadro completo di cosa è successo. Non sa chi è stato. Non sa perché. A volte nemmeno sa come. Deve trovare le prove. Ma le prove non sono lì con scritto sopra “prova”. Bisogna trovarle. Repertarle. Analizzarle. Le prove sono fragili e a volte raccontano un pezzo di storia. Non tutta. Il protagonista, Enea Cristofori, ha un tratto di personalità ossessivo compulsivo, lo conosco bene, molto bene e ho pensato di scriverne.

Ha paura dell’emulazione?

Molto. Il rapporto tra fiction e realtà è labile. E alcune menti deboli possono prendere spunto da quello che vedono al cinema e in tv o leggono nei romanzi per mettere a punto i loro piani criminali. Hanno già l’idea di delinquere, ma spesso mancano loro le capacità: ecco perché si rivolgono alla fiction. Per questo motivo, con la editor di Clown Bianco, Vania Rivalta, ho deciso di togliere del tutto qualsiasi riferimento preciso e puntuale (che all’inizio c’era) su alcuni degli omicidi narrati e, nel dubbio, abbiamo anche inserito un errore.

Qualche fan un po’ troppo entusiasta le ha chiesto dettagli sulle procedure?

Sì, una persona si è mostrata particolarmente interessata proprio agli omicidi. Mi ha chiesto se, seguendo quanto ho scritto, avrebbe ottenuto lo stesso risultato. Poi mi si è premurata di aggiungere che la sua era solo curiosità. Speriamo.

Quale genere le piace leggere?

Mi piace il thriller, soprattutto scandinavo. Di recente ho letto La ragazza del convenience store di Murata Sayaka, a dir poco illuminante, giocato sul rapporto tra cosa è “normale” e cosa non lo è. Dal punto di vista sociologico è un piccolo capolavoro.

Un crime in tv particolarmente accurato?

Nella prima stagione di Big Little Lies ho trovato tragicamente accurata la rappresentazione del rapporto tra Celeste e Perry Wright (Nicole Kidman e Alexander Skarsgård), un affresco notevole di come agiscano autore e vittima di violenze domestiche.

Perché una delle protagoniste è un’influencer?

Trovo affascinante il mondo dei social network, chiunque può essere tutto e il contrario di tutto. Infatti la mia influencer indossa le nuove scarpe da running pagate una follia, si scatta un selfie, poi le sfila e torna a dormire. Ma i cuoricini di Instagram le piovono addosso come fosse una maratoneta.

Ha mai pensato di diventare influencer in un certo campo?
Mai, anche se la mia pasta al sugo strascicata in padella con le patatine fritte (quelle del sacchetto) ha avuto un certo numero di commenti su Facebook. Qualcuno ha detto che è attinente al mio ambito perché mi ha giudicato un po’ criminale a far da mangiare così. Però è buona. Anche se non sembra.

Cristina Brondoni e Minou

Vivere a contatto con il dark side dell’umanità la rende più paranoica o sospettosa nel quotidiano?

No, direi il contrario. Spesso mi capita di dimenticare la porta di casa aperta di notte. Magari mi viene in mente alle due del mattino, ma non ho voglia di scendere a chiuderla. E mi ritrovo a pensare: “Cosa vuoi che succeda? Nessuno sa che proprio stasera l’hai lasciata aperta”. Vado al parco a correre, con la musica, non mi guardo le spalle. Torno tardi con i mezzi pubblici. L’unica cosa che è successa, per ora, sono state le ripetute minacce fatte dai fan di Massimo Bossetti e di Olindo Romano e Rosa Bazzi, convinti che i loro beniamini siano innocenti. Mi ha fatto paura la disperata ignoranza, più che la minaccia in sé.

Tre libri che hanno lasciato il segno?

Il seme cattivo di William March: un capolavoro (è stato tratto il film Il giglio nero). Uomini che odiano le donne di Stieg Larsson (e i successivi due). Il gioco della tarantola di John T. Parker, un gioiellino, soprattutto dal punto di vista della guerra mediatica per assicurarsi la notizia del serial killer in fuga.

Uno scrittore che vorrebbe invitare a cena?
Stephen King, per ringraziarlo per It e per Carrie, storie di persone, di amicizia, di odio. E di bullismo. Se invece mi concedi di sognare davvero, Oscar Wilde. Che inviterò davvero. Nella prossima vita.

Per chi non avesse letto il libro ma ci sta facendo un pensierino, ci lascia con una frase che le piace particolarmente e che lo racchiude?

A volte, fare del male è disperatamente semplice. Basta volerlo.