Il pubblico lo chiama ancora Brandon e non importa se lui, Jason Priestley, con “Beverly Hills, 90210” ha chiuso ormai da due decenni. Che sia arrivato il momento giusto per l’attore canadese di cambiar pelle?

Invecchiare ha questo vantaggio: non puoi più essere un’icona per adolescenti (Jason Priestley)

)  Provaci ancora, Jason Priestley, perché forse questa è la volta buona per toglierti di dosso l’etichetta di “Beverly Hills, 90210”. Il suo alter ego Brandon Wash a vent’anni dal debutto televisivo continua ad essere una figura troppo ingombrante. Per questo l’attore canadese ce la sta mettendo tutta per cambiare pelle, pur restando ancorato al piccolo schermo: la trasformazione è in atto con la serie “Call me Fitz”, che l’ha portato al Monte-Carlo TV Festival e ha debuttato in Italia su Sky Uno con la prima stagione. Ce la farà?

Brandon, Brandon e ancora Brandon. Beverly Hills, 90210 sembra perseguitarti ancora. Gillian Anderson di X-Files sembra talmente esasperata dal ruolo dell’agente Scully che si rifiuta di firmare autografi sulle fotografie del telefilm. Per te quel ruolo è stata una benedizione o una maledizione?

La sfida più grande per un attore è quella di mettere la giusta distanza tra quello che sei e quello in cui ti sei trasformato, per esigenze di copione, intendo. Dopo tanti anni è inevitabile che la gente mi associ a Brandon Walsh. Io cerco di prenderla con un sorriso ma mi sforzo di andare oltre.

Il passato però ritorna: hai appena diretto un film western, Goodnight for justice, con il tuo collega Luke Perry…

Più che colleghi siamo amici. Tra di noi è scattata una sintonia fin dalla prima volta in cui ci siamo visti e ci fa sempre piacere non solo rivederci e uscire insieme, ma anche condividere progetti lavorativi.

Neanche lui è tornato sul set di 90210, la serie per adolescenti che è nata da Beverly Hills… una coincidenza?
Non posso parlare a nome suo, ma per me quello è un capitolo chiuso. Non avevo nulla di nuovo da raccontare su Brandon perché mi sembrava fosse già stato detto tutto. Diverso è il caso in cui invece mi venga chiesto di dirigere un episodio, com’è invece successo.

Ti senti più regista o attore?
Non vorrei scegliere tra i due ruoli: recitare è più divertente, mentre dirigere ti dà più soddisfazione. Lo faccio anche nella mia nuova serie “Call me Fitz”.

Fitz, il tuo nuovo alter ego, è quanto di più lontano possa esistere da Brandon…

In questo momento per me essere Fitz è fantastico: è divertente essere uno come lui, che è al tempo stesso pazzo, tragico o assurdo.  È un sedicenne, ma solo di testa: prende decisioni sbagliate e affrettate.

Non ti ricorda qualcosa del tuo passato, incluso l’incidente quasi mortale durante una corsa automobilistica? I tempi da idolo delle ragazzine sono ormai archiviati.

Invecchiare ha questo vantaggio: non puoi più essere un’icona per adolescenti né comportanti da scapestrato. Quando sei giovane ti comporti da irresponsabile e cerchi la libertà a tutti i costi. Di tutto questo io ne ho avuto abbastanza: quello che mi dà serenità oggi lo trovo tra le mura domestica, con mia moglie Naomi e con i miei figli, da cui non mi distacco mai per un lungo periodo. Per rilassarmi al massimo mi concedo una partita di hockey, ma niente più eccessi.

Cosa rispondi a ti chiede consigli di vita?
Dico sempre la stessa cosa: sono la persona meno adatta a dispensare perle di saggezza, sia in ambito professionale che privato…

L’intervista è stata pubblicata sul mensile “Personaggi”, numero 18, agosto 2011