L’unico ritardo grave è quello affettivo (Roberta Vespa)
Niente principesse né mele avvelenate: i racconti di Roberta non sono favole. Alla sua bimba, prima ancora che nascesse, parlava di amicizie speciali, “diverse”, indimenticabili, tratte dall’esperienza vissuta invece che frutto di una fantasia poetica. E così Delia, troppo piccola per parlare, camminare o persino gattonare, a tre mesi è già “grande” abbastanza per fare volontariato. La storia della mamma in questione è quella di Roberta Vespa, 34enne regista di Radio Tre, nata a Martina Franca (Taranto), cresciuta a Monteroni di Lecce e trapiantata a Roma. “Fin da piccola ho respirato aria di fede: mia madre Rosa, responsabile ACR (Azione Cattolica Ragazzi), ha sempre aperto casa nostra ai diversi, dagli indigenti alle prostitute. Per lei non si trattava di un servizio a cui dedicare un’ora alla settimana in parrocchia, viveva l’accoglienza in ogni momento. Avevo 6 anni quando abbiamo accolto, anche a dormire, Lillina, una signora con problemi motori e un leggero ritardo, che la famiglia costringeva a stare reclusa in una stanza”.
Roberta e la sorella Gabriella, quattro anni più piccola, bisticciavano di tanto in tanto come tutte le bambine del mondo e così la madre ha pensato di far loro conoscere una realtà diversa. “A 7 anni mi ha portato al CVS (Centro Volontari della Sofferenza) per un ritiro spirituale di Valleluogo ad Ariano Irpino (Avellino), dicendo che saremmo andate in vacanza in collina. Pensando ad un villaggio turistico, la prima cosa che ho messo in valigia sono stati i pattini a rotelle”. L’impatto è stato forte: “Non avevo compagni di classe con necessità di sostegno né conoscevo persone sulla sedia a rotelle, invece già sul pullman per la Campania ho incontrato Amleto, un bimbo cieco, e Maddalena, una ragazzina down. All’inizio ero quasi gelosa delle attenzioni che mamma mostrava loro, poi mi ha spiegato che si sarebbe dedicata a chi ne aveva più bisogno, ma che per farlo le serviva il mio aiuto”. Il CVS ribalta l’ottica comune: “Erano i bambini sfortunati ad aiutare noi volontari e non viceversa: ci donavano la sofferenza e ci permettevano di crescere. A 7-8 anni ho conosciuto due ragazze tetraplegiche, Marta, mia coetanea che oggi ha due lauree, e Paoletta, di 20 anni, che emetteva solo suoni non comprensibili e usava gli occhi per comunicare. Quando aprivi l’armadio alla ricerca di un maglione era lei ad indicartelo con lo sguardo, ma se sbagliavi a prenderlo emetteva urla tali che all’inizio eravamo impauriti”. Nel frattempo Roberta, dopo la lettura delle memorie di Albert Schweitzer, medico e Premio Nobel per la pace, ha iniziato a suonare l’organo e a 12 anni, con l’amica del conservatorio Federica (poi sua testimone di nozze e a breve madrina di battesimo di Delia), le è stato affidato il coro parrocchiale, con 60 elementi over 50, e l’animazione liturgica domenicale. “La musica è stata una delle strade verso il Signore, unico mio rifugio anche nei momenti bui, come quello dopo la laurea dominato da incertezza vocazionale”.
“Dopo quasi due decenni dal primo incontro, nel 2009 – ricorda Roberta – ho rivisto Marta che mi ha invitata al concerto della sorella e mi ha presentato un amico, Claudio. Mi ha colpito subito per il modo in cui si prendeva cura di lei e la sollevava per farla sedere in macchina, non sapevo frequentasse il CVS né quale fosse il suo lavoro. Mi aveva detto: “Faccio l’impiegato” senza dettagli, per evitare i pregiudizi o i problemi che la gente gli riversa addosso quando dice che fa l’operatore sociale e si occupa come educatore di persone con disabilità mentale. Ci siamo fidanzati dopo un paio di mesi e sposati a tre anni di distanza. Le nozze le ha celebrate don Luciano Ruga, il sacerdote che ha tenuto il mio primo ritiro, un missionario vero che il giorno prima del matrimonio era in Africa e la settimana dopo è volato in Colombia, dove si trova tuttora”. Durante la gravidanza, a Roberta i medici hanno detto che sua figlia avrebbe potuto essere affetta dalla sindrome di Down: “Quella notizia inizialmente ci ha destabilizzato – precisa – ma poi mi son ricordata le parole di mio padre Claudio, ripeteva che sono stata “desiderata fortemente”, proprio come io volevo Delia, quindi qualunque cosa fosse successa l’avremmo affrontata con l’Amore di Dio. L’ipotesi non si è poi verificata, ma quando è nata ho deciso di portarla ogni settimana al centro diurno dove lavora mio marito, per abituarla alla diversità con discrezione e naturalezza. Quei ragazzi per lei sono un dono, mi aiutano ad accudirla, a fare il cambio pannolino, a riscaldare il latte, a prendere i giochi dal passeggino e le fanno le carezze sui piedini. Voglio che mia figlia sappia che l’unico ritardo grave è quello affettivo, cioè di chi non sa gioire né stupire né amare, e che queste persone arricchiscono la nostra vita”.
Fra qualche mese Delia riceverà il battesimo, accompagnata all’altare dai genitori e dai padrini Federica e Paolo: “Questo sacramento equivale ad avvolgerla in una coperta di tenerezza, Gesù, che l’accompagnerà in un cammino non sempre facile ma riscaldato da questo calore. Persino nel silenzio di Dio non si sentirà mai sola perché fa parte della Chiesa. È nata il Venerdì Santo, cinque ore dopo il quarantesimo compleanno di mio marito, e in quel momento, in sala parto, quando ho capito che stavo rischiando la vita per lei, ho finalmente capito fino in fondo la condizione di Cristo in croce, disposto a morire per me. E la Pasqua, giorno in cui Delia è tornata a casa dall’ospedale con noi, si è davvero riempita di gioia e di luce”.
Roberta Vespa, musicologa, è stata anche assistente musicale e ufficio stampa di vari festival e ora lavora a Radio Tre come regista radiofonica della trasmissione “Wikiradio”, dopo il passaggio su Radio Due per “Io, Chiara e l’oscuro” e “Caterpillar”, speciale Olimpiadi Londra. Si è laureata in Lettere con indirizzo musicale, con tesi commissionata dall’Ufficio Cultura della Chiesa di Stato della Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri a Roma. Nel 2009 ha vissuto a New York per lo stage al World Music Institute (un’organizzazione di musica etnica) ed è stata ospitata da una signora, Elizabeth, il cui fratello Vincent, affetto dal morbo di Parkinson, si è spento proprio durante il suo periodo di permanenza. “Appena arrivata – racconta Roberta – ho raccontato a Irina, la badante di Vincent, di aver dimenticato in Italia la macchinetta fotografica. Il giorno dopo lui, sebbene fosse in fase terminale, l’ha convinta ad accompagnarlo per comprarmene una nuova. In quei tre mesi è uscito solo un’altra volta, nella settimana prima di morire, per farmi vedere l’oceano. La sua generosità capace di superare il dolore per amore mi ha spinta di nuovo tra le braccia del Signore e al ritorno a Roma ho subito ricontattato il CVS, il Centro Volontari della Sofferenza”.
L’intervista è stata pubblicata sul settimanale “A sua immagine”, numero 138, 29 agosto 2015