Antonio Banderas in Dolor y Gloria

Non possiamo essere tutte “tacchettine”, come le impiegate sui trampoli a spillo de Il diavolo veste Prada. C’è chi si presenta alle interviste con cotonature di un certo livello e in abiti di lamè e strascico, con look a metà tra la disco Anni Ottanta e la sfilata cruise Versace, e c’è chi s’imbacucca in una pashmina gigante per non peggiorare l’effetto-Medusa.

Tra l’umidità del clima salmastro e il vento sferzante sulla terrazza dell’hotel, la broncopolmonite è garantita, ma solo per la categoria “Bridget Jones”. È scientificamente provato che la prima categoria umana è ignifuga e impermeabile (alla pioggia… ma anche al buonsenso).

Quando però ad aspettarti c’è Antonio Banderas la storia cambia. E non solo perché è uno che stringe la mano, abbraccio e aiuta persino a scendere dall’impossibile trampolo adibito a postazione per il giornalista, oltre che per l’attore. Gesticola, ride e si perde nelle sue stesse risposte ma innanzitutto si scusa perché sta provando a non ripetersi parlando di Dolor y gloria di Pedro Almodovar, che esce oggi anche nei cinema italiani e che ha appena presentato al Festival di Cannes.

“Non si preoccupi, scrivo per una rivista femminile, quindi è tutto più semplice”.

E lui: “Ma scherzi? Si rivolge alle donne e dovrebbe essere più facile? Non ci credo che tu l’abbia detto”.

A mia difesa va aggiunto che stavo per dire tutt’altro, ossia che siccome Almodovar è maestro nel descrivere l’universo femminile, la missione non gli sarebbe stata impossibile.

Almeno lui comunque non è circondato da assistenti che gli porgono l’Amuchina o purificatori ambientali per disinfettare l’ambiente dai germi altrui o dal tocco dei comuni mortali. Insomma, è umano come noi. Per fortuna.

E ammette pure che è fotofobico e che quindi, come il resto dei presenti, ha difficoltà a parlare con il sole di mezzogiorno sparato in fronte.

Cristiano Caccamo

La giornata continua a migliorare con la tappa nell’unica oasi felice e golosa della Croisette, lo spazio Magnum. In pratica gli unici dieci metri quadrati dov’è lecito non solo mangiarsi un bel gelato ma anche immortalare il momento. Nel caso della maggior parte dei presenti, non si tratta di vanità ma di una prova dell’ingerimento effettivo di zuccheri, evento da commemorare come il primo vagito o il viaggio di nozze. Nessuno, in tutta la sala, avrà mai toccato una sola forchettata di lasagna in tutta la propria vita, quindi si capisce bene lo stato d’eccitazione.

Qui ti fanno lo stesso su misura, ci puoi mettere sopra tutto, un po’ come capita come la puccia a Lecce o i condimenti del kebab. E nessuno ti guarda con disprezzo.

Tutte le cene, i pranzi e le cosiddette reception qui in Costa Azzurra sono a base di vegetali dal nome impronunciabile, spezie esotiche e trattamenti quasi esoterici. Il tutto in deliziose mini-porzione: il finger food è la nuova frontiera della fame. Ogni cucchiaiata è un’espiazione dei peccati passati e futuri, con un gusto a metà tra il polistirolo e lo sciroppo per la tosse. Tutto ok, è bio.

Persino farsi una risata sembra fuori moda ma grazie al cielo esiste ancora qualche artista made in Italy che si prende poco sul serio. L’esemplare in questione si chiama Cristiano Caccamo ed è ambassador tricolore di Magnum. “Che gusto mi consigli?”: chiede dopo aver abbracciato la popstar Rita Ora sul red carpet dell’evento e sorge subito un dubbio. Neppure lui ha mai assaggiato un gelato al cioccolato? Il solo pensiero genera un panico crescente.

L’unico antidoto è una corsetta veloce al più vicino Pizza Hut e sopportare persino l’idea che uno accanto a te chieda l’ananas sulla margherita o il ketchup sulla quattro formaggi.

La strada per l’eresia culinaria, d’altronde, è lastricata di buone intenzioni, come quella degli ignavi.