Nicolas Cage è un'autentica leggenda. E al festival di Macao dimostra anche una splendida umanità

Il primo vero amore l’ho vissuto non per i miei genitori, ma per l’oceano. (Nicolas Cage)

Nicolas Cage ha quella postura ieratica che t’impone non solo di guardarlo dal basso verso l’alto ma incute anche un certo timore reverenziale. Prima d’incontrarlo al festival di Macao l’avevo già incrociato al Giffoni Experience e di quel momento ricordo due dettagli. Il primo: il suo agente si era raccomandato di non chiedergli assolutamente niente della presunta evasione fiscale perché l’attore si considerava suscettibile sull’argomento. Dopo cinque minuti, durante l’incontro stampa una giornalista gli ha chiesto della dichiarazione di redditi e lui ha assunto le sembianze di una statua di cera degna di Madame Tussauds. Il secondo: non sono riuscita a prestare granché attenzione alle sue parole perché morbosamente attratta da qualcosa che stava accadendo all’altezza dei suoi polsi. No, nessun feticismo per le mani, solo umana compassione. In parte temevo che andasse in autocombustione: per chi non ha presente la cittadina di Giffoni Valle Piana in provincia di Salerno vale la pena precisare che si trova in una specie di vallata ridente. E fin qui niente di male, anzi. A volte, però, la temperatura estiva mista al tasso d’umidità scatena una cappa difficile da ignorare. Non so quale sadico stylist gli abbia consigliato la giacca marrone di velluto a costine, ma ero abbastanza vicina a lui da notare i rivoli che si condensavano sui polsini.  Va detto che l’outfit del giorno prima, ad una manifestazione cinematografica ad Ischia, poteva di sicuro competere con la mise giffonese: chi ricorda Drive In ha ben presente il personaggio del Tenerone, quell’adorabile palla di pelo rosa interpretata da Gianfranco D’Angelo. Ecco: mister Cage indossava un completo della stessa sfumatura e a lungo quell’immagine mi ha fatto compagnia ogni volta che pensavo al concetto di “red carpet memorabili”.

È stato quasi catartico, quindi, ritrovarlo in Asia con tutt’altra disinvoltura. A bilanciare il karma per dovere di cronaca va detto che tutti i giornalisti stranieri presenti – inclusa la sottoscritta – sembravano essersi vestiti al buio o al massimo tirati giù dal letto in hotel durante un’esercitazione anti-incendio. Il motivo? Il clima di Macao durante il festival è passato da “leggermente più freddo del Cairo” (citazione del collega brasiliano, che mai più consulterò prima di preparare una valigia) a “vento in aumento al Polo”. Addio infradito e abitini smanicati, benvenuti maglioncini di cashmire di Uniqlo.

Ricorda la prima volta che ha desiderato calarsi nel ruolo di qualcun altro?
Il primo vero amore l’ho vissuto non per i miei genitori, ma per l’oceano. Avrò avuto uno, due anni al massimo, quando ho visto quella distesa d’acqua che mi ha subito stregato per l’odore, i colori e il numero incredibile di creature marine. E dopo aver letto Ventimila leghe sotto i mari mi sono convinto che sarei stato un perfetto Capitan Nemo, a fumare sigari con una ciurma avventurosa.

Ha cambiato il cognome, Coppola, ma sarebbe stato difficile sfuggire all’eredità di famiglia, no?

Che sia destino o scelta, ho sempre voluto raccontare storie. Da bambino, giravo piccoli film in super 8 nel giardino di casa con mio fratello maggiore, li montavo con la colla e li mostravo a tutti con un proiettore che ci aveva regalato nostro padre.

Mentre lo racconta il sorriso le si è spento sul viso. Come mai?
Papà mi manca moltissimo, anche se ormai sono passati dieci anni dalla sua morte. Quel dolore si è acuito sul set di Mandy, ma l’ho usato per mettere in scena lo strazio di Red nel perdere l’amore della sua vita.

L’intervista integrale è stata pubblicata sul settimanale femminile “Vanity Fair”, numero 4 del 2019