Il Principe Alberto II di Monaco sul red carpet del Festival della TV di Monte-Carlo nel 2014

Il Festival della TV di Monte-Carlo ha l’intento d’incoraggiare una nuova forma d’arte, al servizio della pace e del dialogo tra gli uomini (Ranieri III di Monaco)

Il Monte-Carlo TV Fest, evento d’eccellenza nel panorama seriale del Vecchio Continente, insegna ai “colleghi” europei più di una lezione sul piccolo schermo. L’Italia, per ora, resta a guardare, nonostante alcuni validi tentativi…

Non chiamiamolo più “piccolo”schermo se non per riferirci alle dimensioni dell’apparecchio, il televisore, che ne trasmette le immagini. Da quello “grande”, a Hollywood e dintorni, ormai si sta verificando un esodo sempre più massiccio perché la terra promessa delle sceneggiature originali si trova con maggior facilità nel formato a puntate. Il Vecchio Continente cerca di tenere il passo con le proprie peculiarità, monitorando il panorama d’oltreoceano e celebrandone i successi, di critica e di pubblico, dopo averne riconosciuto l’eccellenza. Amplificatori di tendenze, i festival promuovono i prodotti migliori a prescindere dai dati d’ascolto e in Europa uno in particolare tiene sotto controllo il polso dell’universo seriale, il Monte-Carlo TV Festival.

Le star di Downton Abbey al Festival della TV di Monte-Carlo

Proposito regale

Questo ricercato e blasonato tappeto rosso ha debuttato nel 1961 per volere del principe Ranieri III di Monaco con l’intento di “incoraggiare una nuova forma d’arte, al servizio della pace e del dialogo tra gli uomini”. Tale riconoscimento di status culturale ha portato nel Principato, edizione dopo edizione, i progetti più significativi in circolazione e ne ha premiato gli interpreti e i promotori conferendo loro la Ninfa d’Oro, un riconoscimento che omaggia l’opera “Salmacis” dello scultore monegasco François-Joseph Bosio, oggi custodita al Museo del Louvre di Parigi.  

Giunto alla 54° edizione, si conferma come l’evento europeo di maggior impatto, capace di attrarre 60 programmi provenienti da 30 nazioni in competizione e oltre 300 giornalisti da tutto il mondo. La selezione ufficiale è divisa per categorie: Serie TV (comedy e drama), Miniserie, TV movie e News (documentary e programmi).  

Formula vincente

Alla corte reale convergono ogni anno centinaia di artisti, accolti dal principe Alberto II che dal 1988 è Presidente Onorario della kermesse. La formula si è evoluta adattandosi alle esigenze del mercato e ha allargato il bacino d’utenza. Inizialmente diretto soprattutto alla stampa e agli addetti ai lavori, oggi la manifestazione coinvolge in misura sempre maggiore anche il pubblico. Non si tratta solo della popolazione del Principato (pari a quella di Cantù o Monreale), ma di un’affluenza con provenienza piuttosto variegata ed internazionale.

Le celebrity si concedono, oltre alle anteprime, alle attività giornalistiche e promozionali e agli eventi mondani, anche ad incontri con gli spettatori, con meet&greet e sessioni di autografi dedicate al Grimaldi Forum o in un’altra location a Monte-Carlo.

Quello che fino a qualche tempo fa era considerato un appuntamento d’elite ha subito un’evoluzione d’identità pur conservando un DNA esclusivo e prestigioso. Al passo con la modernità, ha costruito un ponte capace di far incontrare i protagonisti della serialità con i fruitori.

La locandina dell’edizione 2014 del Festival della TV di Monte-Carlo

Lo star system a domicilio

La percezione dell’irraggiungibilità dello star system viene ridimensionata da una forma di familiarità acquisita, episodio dopo episodio, nel corso degli anni. Lo spettatore sviluppa un particolare tipo di affezione (ben diversa dalla devozione spesso riservata ai divi cinematografici) nei confronti dei personaggi televisivi che presuppone una conoscenza quotidiana. I telefilm entrano nella routine del pubblico e s’insediano tra gli appuntamenti della giornata al punto tale da diventare compagni di viaggio, confidenti, amici e persino parenti.

Permettere agli spettatori di avvicinare queste personalità di spicco, in una cornice fiabesca e quasi surreale, solidifica un rapporto già rodato negli anni. E offre al tempo stesso agli interpreti un’atmosfera al di là della loro stessa portata: nell’Olimpo hollywoodiano si aggirano con la disinvoltura propria delle divinità, a Monte-Carlo sono ricevute addirittura a palazzo.

Jennifer Morrison, principessa delle favole di “C’era una volta”, ha ottenuto udienza speciale assieme agli altri ospiti del Festival, tutti con alter ego a dir poco ingombranti. La rosa degli eletti di quest’anno includeva, tra gli altri, Jeff Perry (alias Cyrus Beene, capo dello staff del Presidente USA in “Scandal”), Ted Danson (alias D.B. Russell, leader della polizia scientifica di Las Vegas in “CSI”) e Adelaide Kane (alias la Regina di Scozia Maria Stuarda in “Reign”), capitanata da Jerry Bruckheimer, uno dei produttori con la maggiore influenza al mondo.

Non è il solo deus ex machina ad aver calcato il red carpet monegasco: si sono passati il testimone nelle scorse edizioni talenti creativi del calibro di Dick Wolf (“Law & Order”), Ed Bernero (“Criminal Minds”), Darren Star (“Sex and the City”), Ian Brennan (“Glee”) e Chuck Lorre (“The Big Bang Theory”), alternando al glamour delle star il talento che ha reso le rispettive serie tv piccoli grandi gioielli. In passato anche i prodotti made in Italy hanno fatto sentire la loro voce grazie alla presenza di Pietro Valsecchi (Tao Due) e quest’anno hanno avuto un peso rappresentativo grazie alla presenza in giuria della talentuosa sceneggiatrice Barbara Petronio (“Romanzo criminale”), ma la prospettiva tricolore propone un approccio seriale ancora molto lontano da quello monegasco.

Il Belpaese risponde

Solo qualche mese fa Pupi Avati aveva chiesto che le puntate della miniserie “Un matrimonio” fossero considerate “film” e non “fiction” ribadendo la tendenza (“molto italiana”, direbbe Stanis, protagonista della serie “Boris”) a distinguere e gerarchizzare i prodotti per il cinema e per la tv. La categorizzazione si basa su un presupposto e su un pregiudizio secondo cui i telefilm devono essere collocati ad un livello inferiore rispetto al “grande” schermo e non possono aspirare agli stessi standard e risultati d’eccellenza perché, per loro stessa natura, sono confinati nel “piccolo”.

Se in Italia un festival dedicato alla serialità partisse da premesse simili sarebbe condannato alla disfatta prima ancora di aprire i battenti. Lasciando il beneficio del dubbio a tutti gli organizzatori che in quest’ultimo decennio si sono cimentati in imprese del genere, è già possibile fare un primo e sommario bilancio della situazione nella Penisola.

Correva l’anno 2003 quando la coppia di pionieri formata da Fabrizio Margaria e Leopoldo Damerini (Mediaset) progettava il format del “Telefilm Festival”, una maratona nelle sale milanesi di un cinema (l’Arcobaleno prima e l’Apollo poi) per la visione degli episodi cult del passato, del presente e soprattutto del futuro, con anticipazioni significative rispetto alla programmazione. Dibattiti, conferenze e incontri con gli attori più popolari del momento (da Gary Dourdan di “CSI” a Zachary Levi di “Chuck”) hanno animato la manifestazione per quasi dieci anni, sotto la direzione operativa di Antonio Visca (oggi alla guida di Sky Atlantic). Il concept originale dell’evento ruotava attorno ad un coinvolgimento attivo del cosiddetto fandom, formato dall’aggregazione di una fetta di pubblico di fedelissimi. I siti di influencer del settore sono diventati protagonisti di spazi dedicati e hanno ottenuto un effettivo riconoscimento: hanno acquistato una voce in un confronto con gli esperti del settore e i loro sforzi sono stati premiati durante apposite cerimonie. Attualmente la formula è in fase di revisione per adattarsi alle nuove esigenze degli spettatori, alle tendenze del mercato e soprattutto ai new media.

Jennifer Morrison al Festival della TV di Monte-Carlo

Da Milano a Roma

A stretto giro la Capitale risponde con il “RomaFictionFest”, un festival orientato principalmente alla produzione italiana. Con un dispiegamento di forze nettamente superiore a quello dei colleghi milanesi e grazie al supporto delle istituzioni, la manifestazione ha cambiato pelle (e location) e si appresta, dal 13 al 18 settembre, ad inaugurare l’ottava edizione. Gli interpreti di “Lost”, “The Big Bang Theory” e “True Blood” sono solo alcuni dei protagonisti dell’orange e del pink carpet della kermesse ad ingresso gratuito. Con momenti dedicati ai più piccoli e un mercato per la compravendita dei prodotti audiovisivi, il RFF ha cercato a lungo identità e riconoscibilità, anche se il cambio di stagione (dall’estate all’autunno) ha penalizzato moltissimo l’organizzazione. La disponibilità dei talent d’oltreoceano a partecipare all’evento ha dovuto fare i conti con il calendario delle riprese, fittissimo nelle settimane di ritorno dalla pausa estiva. La scelta delle date vuole, invece, favorire il panorama seriale tricolore offrendo anticipazioni e anteprime delle fiction made in Italy. Una decisione del genere comporta un rischio ben preciso, quello di chiudere gli orizzonti marcando il territorio.

La vocazione di un festival dovrebbe, invece, svincolare dalla tentazione di autocelebrarsi e correre il rischio di sperimentare nuovi percorsi, abbracciare idee diverse e crescere grazie allo scambio culturale con realtà internazionali.

Offrire al pubblico uno specchio può essere rassicurante e al tempo stesso poco lungimirante. È vero, oltre otto milioni di italiani segue “Don Matteo” su Rai Uno e appena un decimo guarda “Downton Abbey” su Rete 4, ma il pubblico deve sentirsi libero di scegliere e può farlo solo se ha varie opzioni davanti a sé. Se continuasse ad assecondare la via più facile e conosciuta non ci sarebbe spazio per storie spiazzanti e controverse come quelle di “Breaking Bad” oppure “Homeland” e sarebbe una gravissima perdita culturale.

Jane Seymour al Festival della TV di Monte-Carlo

Esistono, comunque, altre alternative all’ufficialità dei festival. Ci sono eventi speciali, come il “Grey Day”, organizzato dall’Accademia dei Telefilm in collaborazione con Mediaset nel 2006 per salutare le nuove puntate del medical drama “Grey’s Anatomy”. Esistono anche alcune versioni “in stile Garbatella” come il “Cesaroni Day” promosso da Publispei per coinvolgere gli appassionati del motto “Che amarezza!”. Alcune manifestazioni ospitano finestre seriali di tutto rispetto, come “Lucca Comics and Games” che da anni ad esempio dedica uno spazio a “Il trono di spade” con rievocazioni storiche e sfilate di cos player o come “Giffoni Experience”, un festival non più solo cinematografico. Per il terzo anno organizza il “Gleeffoni” con star della serie di Ryan Murphy: dopo Dianna Agron e Naya Rivera quest’anno (dal 18 al 27 luglio a Giffoni Valle Piana, in provincia di Salerno) è il turno di Lea Michele.

E poi ci sono le convention di fan che permettono ai partecipanti di incontrare il cast di alcuni telefilm con l’acquisto di un apposito pass. La somma pagata corrisponde ad una serie di servizi, che variano dall’autografo alla foto fino a garantire un cocktail o un party con l’attore. Jus in bello, la più longeva in Italia, è dedicata a “Supernatural” e la sesta edizione è in programma a Roma dal 15 al 17 maggio 2015. L’associazione culturale Fantasy Events, invece, cura la realizzazione di “The Love&Blood Ita Con” e si rivolge agli appassionati di “Vampire Diaries” e la “Night Ita Con”, dal 4 al 6 luglio a Perugia con gli interpreti di “Streghe”, “Merlin” e “C’era una volta”.

A riprova del crescente interesse nei confronti dell’universo seriale, iniziative di questo genere si moltiplicano anche da noi, seguendo l’esempio di organizzazioni simili presenti sia negli Stati Uniti che nel resto d’Europa.

In un mondo sempre più globale i festival sono invitati a catalizzare quest’entusiasmo e ad alimentarlo con proposte sempre innovative e originali. Il Monte-Carlo TV Festival ha saputo preservare la propria natura raffinata e ricercata adattandola alla domanda del pubblico, ormai stanco di restare in attesa delle star dietro le transenne. Un esempio da seguire, insomma, senza copiarne la formula che non funzionerebbe mai se fosse decontestualizzata e trapiantata da noi. Il Belpaese sta ancora cercando il modo migliore di onorare e celebrare l’eccellenza seriale, ma prima deve abbandonare campanilismi ormai obsoleti, irritanti buonismi e preconcetti ormai superati da troppi cliffhanger.

L’articolo è stato pubblicato sul mensile trade Mille Canali, numero 447, settembre 2014