Si chiamano "haters", odiatori. Online più che nella realtà riversano cattiveria e rabbia su altri utenti. E io ne so qualcosa per esperienza diretta, come racconto su Crime Magazine

Ho raccontato la mia esperienza con gli hater sui social su una rivista di settore, Crime Magazine, che affronta il crimine da una prospettiva tecnica. Ecco l’incipit dell’articolo con la mia esperienza, con gli ultimi risvolti (qui le puntate precedenti):

Usare i bambini di Auschwitz per fare una battuta sul mio peso è l’ultima – in ordine cronologico – trovata online di un utente che forse sopravvaluta il proprio sarcasmo e sottovaluta la soglia del cattivo gusto. Non che rientri nella categoria “hater” a tutti gli effetti, ma ancora non è stato coniato il termine “burlone da tastiera”, se lo si intende nell’accezione più ironica possibile.

Si tratta di uno studente d’ingegneria fiorentino a me sconosciuto. Qualche giorno fa ha iniziato a commentare su Facebook con disappunto la decisione di Instagram di chiudere il profilo di una donna che mi ha pesantemente insultata. Lui, il simpaticone di turno, ottiene il record di 27 like se pubblica una foto della Falanghina, per il resto racimola qualche cuoricino sotto commenti al vetriolo con riferimenti più o meno criptici.

L’articolo è stato pubblicato sul mensile Crime Magazine, numero 1 di agosto 2020, acquistabile a questo link.