Elisa non sta più nella pelle. Stasera si esibirà su un palco che, nonostante gli oltre vent’anni di carriera, rappresenta per lei qualcosa di unico, le sue radici. E infatti lancia un appello davvero tenero per ritrovare i suoi “parenti perduti”, con la complicità di una “gang” salentina di amici composta da Alessandra Amoroso, Emma Marrone e Giuliano Sangiorgi dei Negramaro.

Lo racconta lei stessa, visibilmente emozionata dietro le quinte del backstage durante le prove generali de La notte della taranta a Melpignano, in provincia di Lecce. Durante la “festa di paese” più grande d’Europa con circa 150 mila spettatori, che andrà in onda in diretta su Rai Due in seconda serata, canterà la sua hit Luce e si cimenterà in alcuni bravi in dialetto della Grecìa salentina (oltre a quello “tradizionale”).

Questo weekend speciale ha per Elisa un’importanza cruciale sotto vari aspetti e non solo per gli incassi record in sala della versione live action de Il Re Leone (quasi tre milioni nella sola giornata di debutto), per cui presta la voce alla leonessa Nala, accanto a Simba-Manco Mengoni.

Per la cantautrice di Monfalcone, insomma, questo 2019 si conferma un periodo d’oro e, dopo il successo delle tappe internazionali concluse poche settimane fa, a novembre e dicembre è pronta a tornare con un tour nei palazzetti italiani.

“Elisa è una delle migliori voci italiane – commenta il rapper Gue’ Pequeno, con lei stasera per il concertone de La notte della taranta – e la stimo moltissimo. Peccato non aver mai collaborato insieme prima d’ora, ma mi piacerebbe molto che accadesse in futuro, anche in un doppiaggio. Premetto però che la mia unica esperienza in questo settore, qualche anno fa, è stata piuttosto difficile. Per ora sono contento di dividere lo stesso palco con lo stile e la passione di questo ballo popolare”.

Perché per lei questo evento non è “solo” un concerto?
La notte della taranta a un valore speciale perché ho scoperto solo un anno fa che mio padre era originario del Salento, precisamente di Gallipoli, in provincia di Lecce. I miei amici dei Negramaro, in particolare il bassista e il batterista, si sono offerti di rintracciare i parenti che sicuramente ancora ho in questa terra.

Quando il sindaco di Gallipoli lo ha sentito si è subito attivato per aiutarla.

Mi ha fatto molto piacere questo gesto, ci terrei moltissimo. Per tutta la vita ho creduto di essere mezza francese perché i genitori paterni di papà sono emigrati a Marsiglia e invece no. Solo quando è morto papà ho avuto modo di riavvicinarmi a mia sorella (abbiamo madre diverse ma lo stesso padre) mi ha raccontato che lui era pugliese a tutti gli effetti, con i nonni di Gallipoli. Di loro so poco, il nome Franco, il soprannome Marino e il cognome, non so se la ricerca darà dei frutti, lo spero.

Cosa vuol dire per lei il legame con la terra?

Adesso che ho scoperto da dove vengo ho acquistato un certo senso di appartenenza, ho capito le radici della passionalità con cui ho sempre abbracciato la musica e lavorare fianco a fianco con i musicisti salentini me lo ha confermato. È qualcosa che ti scorre dentro, viscerale e profondo come il sound della pizzica. Qui il senso del ritmo è impressionante anche nei bambini, praticamente genetico. La tradizione si tramanda grazie a queste nuove generazioni che sono il cuore della pizzica.

E i suoi di figli?

Hanno ovviamente imparato tutte le canzoni che porterò sul palco perché li ho sfondati di prove a casa e sono felicissima di portarli dietro le quinte, nel backstage del concerto. Questa è anche la loro storia.

Suo padre aveva il senso del ritmo di cui parla?
Era pazzesco, un autodidatta che quando suonava muoveva tutto il corpo, si animava. Ha imparato da solo la chitarra e la fisarmonica, suonava ad orecchio, faceva suoi i suoni e io ho preso da lui, da piccola lo imitavo imparando a braccio, prima di studiare a 15 anni.

È vero che ha coinvolto in questo suo debutto canoro in dialetto tutti i suoi amici cantanti salentini?
Ho rotto le scatole ad Alessandra Amoroso, Emma Marrone e Giuliano Sangiorgi dei Negramaro, che è anche il padrino di mia figlia Emma. Ho creato una chat di gruppo dal titolo “Pizzicarella help tua sorella” per imparare a pronunciare correttamente i suoni del dialetto, come “beddhra” e tutti loro mi hanno mandato vocali da ripetere. Ci siamo divertiti molto!

Cosa le piace di questi canti popolari?

Il ritmo mi ha rapito sin da subito, ma mi ha spaventato anche la velocità incredibile di questo ballo e ho fatto più prove degli altri cantanti proprio per dare il meglio e onorare le mie radici che ancora non conosco bene. Alcune melodie come nel brano Aremu sono struggenti, gioielli unici che ti conquistano. Appena l’ho ascoltato mi sono detta: “Qui esplode tutto sul palco”. La potenza delle suggestioni è incontenibile…

Vorrebbe cimentarsi in qualche progetto in dialetto?
Per ora è troppo presto per dire che nei prossimi lavori utilizzerò i ritmi della pizzica ma chissà…

Cosa rappresenta il Concertone oggi?
L’integrazione, il frutto della bellezza dell’apertura e della tolleranza di questa terra, che crea una cultura profonda e contaminata. Oggi si ha paura di mischiare le tradizioni, ma le culture miste non sono erbacce ma il fertilizzante per tutti noi.

Il Re Leone ha conquistato il box office. La lezione più grande?

Quando scopri chi sei puoi andare dove vuoi. Ancora una volta si parla di radici ma senza la vergogna o la paura di guardare agli altri paesi, anche in termini musicali. A volte sono più innovativi e avanti di voi ma benvenga, è uno stimolo per creare qualcosa di originale partendo dalla propria storia. È unica perché non ce l’ha nessun altro, allora falla sentire.

L’intervista è stata pubblicata su Glamour.it il 24 agosto 2019